Il matrimonio ai tempi del Coronavirus: rinviato o annullato?

Rinegoziare accordi e contratti all’insegna della Flessibilità

La stagione dei matrimoni è appena iniziata ma il settore del “wedding” è in preda al panico.

Infatti, a seguito dell’emanazione del Dpcm 8 marzo 2020 in materia di “misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica da COVID-19” è stata prevista la sospensione di ogni evento, anche privato, nonché delle cerimonie civili e religiose, sino al 3 maggio 2020, così come confermato dal Premier Conte nella conferenza stampa del 10 aprile, annunciando il nuovo Dpcm.

I matrimoni sono quindi diventati temporaneamente off-limits e a meno di non fare come Alba Diaz, wedding planner galiziana, e il suo fidanzato, che hanno detto “sì” giurandosi amore eterno sul balcone del loro appartamento, facendosi sposare da un vicino dall’altro lato del cortile e invitando tutto il quartiere ad affacciarsi, al tempo del Coronavirus il primo passo da compiere è scegliere se annullare o rinviare.

Di fronte a sposi in preda al panico per il timore di dover rinunciare ai fiori d’arancio, ci sono fornitori che tremano all’idea di perdere matrimoni e che si stanno facendo in quattro per rassicurarli e per non permettere che il loro sogno venga infranto, ma impegnandosi affinché venga solo rimandato.

È ormai chiaro: siamo davanti ad una vera e propria emergenza.

Ma allora, come reagire?

Secondo un’inchiesta lanciata sul web tra le spose di Italia, Spagna e Francia, la maggior parte delle coppie di sposi non ha rinunciato a coronare il proprio sogno d’amore, decidendo solo di rinviarlo.

Ad oggi infatti tutte le celebrazioni tra marzo ed aprile sono state rinviate e quelle fissate nei mesi estivi rischiano di subire le stesse sorti, non volendo gli sposi rischiare di ricevere auguri a distanza e dietro delle mascherine; resistono invece strenuamente quelle previste nelle prime settimane autunnali in attesa dell’evolversi della situazione.

Tuttavia, se nulla può far retrocede gli sposi dalla volontà di celebrare il matrimonio il prima possibile, bisogna tenere conto di come il divieto di assembramenti sarà inevitabilmente l’ultimo ad essere sciolto.

I più ottimisti hanno posticipato il “Sì, lo voglio” da agosto in poi, altri invece non hanno voluto rischiare, rinviando direttamente al 2021, scelta condivisa anche da molte wedding planner, ritenendola la migliore soluzione.

Ma come può rinviarsi un matrimonio senza rischiare di perdere i soldi? Alla delusione della coppia potrebbe infatti aggiungersi anche un potenziale danno economico.

Con questo articolo vi aiuteremo a chiarire l’incidenza che questa situazione di emergenza può avare sui contratti in essere, illustrando le possibili tutele legali e i rimedi offerti dal nostro ordinamento giuridico.

Naturalmente una volta presa la decisione di rinviare l’evento, il primo passo da compiere è quello di riprendere in mano tutti i contratti con i fornitori di servizi, dalla location al fotografo, passando per il fiorista e controllare cosa prevedono gli accordi e le eventuali clausole inserite.

Ma quali clausole deve contenere un contratto per cercare di fare fronte a questa emergenza?

Quelle che non dovrebbero mai mancare sono sostanzialmente tre:

  1. La clausola di limitazione di responsabilità: la cosiddetta “clausola di forza maggiore”;
  2. la clausola del cambio data;
  3. la clausola ex art. 1463 c.c.: impossibilità sopravvenuta della prestazione.

In ogni contratto che si rispetti deve essere prevista la clausola di forza maggiore, ma cerchiamo di capire bene di cosa si tratta.

Preliminarmente occorre specificare come nel nostro ordinamento giuridico non sia prevista una definizione di causa di forza maggiore, ma possa desumersi dal combinato disposto degli articoli 1256 e 1467 c.c. che regolano i rapporti contrattuali nei casi di impossibilità sopravvenuta ed eccessiva onerosità della prestazione, tale da generare un ritardo o una totale impossibilità nella esecuzione della stessa.

È una clausola che, pertanto, viene inserita nei nostri contratti, sulla base di modelli anglosassoni, affinché di fronte ad eventi imprevedibili e straordinari, tali da determinare l’impossibilità della prestazione ovvero l’eccessiva onerosità della stessa, la parte contrattuale che ne subisce gli effetti può sospendere l’esecuzione del contratto ovvero modificarne le condizioni secondo equità o, se la causa determinante perdura, risolverlo senza incorrere in responsabilità.

Si conferisce così certezza alle ipotesi di risoluzione del contratto con disposizioni che possono risultare un ampliamento del novero di fattispecie rispetto alla disciplina generale ovvero una delimitazione delle stesse.

Tuttavia, deve precisarsi come la mera previsione della clausola nei nostri contratti non sia sufficiente, essendo necessaria un’integrazione, stabilendo altresì l’obbligo per le parti di adoperarsi per trovare una soluzione che possa arrecare meno danno possibile.

Per questo un’altra clausola che può venire in aiuto e che non dovrebbe mai mancare nei contratti del mondo del wedding è quella che prevede il cambio della data, da concordarsi tra le parti.

Ma cosa succede in concreto se si verifica una situazione imprevedibile come quella determinata dall’emergenza attuale e nel contratto non è previsto nulla?

Moltissimi fornitori oggi, infatti, si chiedono in particolare se eventuali ritardi o impossibilità nell’adempimento delle obbligazioni contrattuali, causate dai provvedimenti di contenimento sociale e delle conseguenti limitazioni, possano configurare inadempimento ovvero causa di forza maggiore.

Verosimilmente la situazione di emergenza attuale determinata dalla diffusione del virus Covid-19, può essere considerata una causa di forza maggiore tale da rendere applicabile la disciplina generale codicistica della impossibilità sopravvenuta e della eccesiva onerosità.

Il legislatore in ogni caso è intervenuto sul punto cercando di fare chiarezza con il Dpcm 17 marzo 2020, conosciuto come Decreto “CuraItalia”, prevedendo all’art. 91, l’inserimento all’interno dell’articolo 3 del Decreto 23 febbraio 2020 n. 6, il comma 6-bis,  disposizione di evidente contenuto pleonastico, a mente del quale “il rispetto delle misure di contenimento di cui il presente decreto è sempre valutata ai fini dell’esclusione, ai sensi e per gli effetti degli articoli 1218 e 1223 c.c., della responsabilità del debitore, anche relativamente all’applicazione di eventuali decadenze o penali connesse ai ritardi o omessi adempimenti”.

In pratica questa norma, speciale rispetto alle disposizioni codicistiche, individua espressamente il rispetto delle misure di contenimento (c.d. factum principis, ossia l’ordine o il provvedimento dell’Autorità Amministrativa sopravvenuto e imprevedibile) come elemento rilevante ai fini dell’applicazione della disciplina codicistica generale della forza maggiore, intesa quale circostanza non imputabile al debitore, idonea ad escludere la responsabilità da inadempimento.

È utile allora analizzare cosa dispone il Codice Civile per i casi di impossibilità o ritardo dell’adempimento e quali sono gli effetti previsti.

Ai sensi dell’articolo 1256 c.c.: “l’obbligazione si estingue quando per una causa non imputabile al debitore, la prestazione diventa impossibile. Se l’impossibilità è solo temporanea, il debitore fino a che essa perdura, non è responsabile del ritardo nell’inadempimento. Tuttavia l’obbligazione si estingue se l’impossibilità perdura fino a quando, in relazione al titolo dell’obbligazione o alla natura dell’oggetto, il debitore non può essere ritenuto obbligato a eseguire la prestazione, ovvero il creditore non ha più interesse a conseguirla”.

Questa norma va letta in combinato disposto con un’altra, ossia l’articolo 1218 c.c. che sancisce: “il debitore che non esegue esattamente la prestazione dovuta al risarcimento del anno, se non prova che l’inadempimento o il ritardo è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile”.

Le suddette disposizioni devono coordinarsi con il disposto dell’articolo 1463 c.c., che prevede che “nei contratti con prestazioni corrispettive, la parte liberata per la sopravvenuta impossibilità della prestazione dovuta non può chiedere la controprestazione e deve restituire quella che abbia già ricevuta, secondo le norme relative alla ripetizione dell’indebito”.

Il Codice Civile quindi considera la impossibilità sopravvenuta come una delle cause di risoluzione del contratto e per l’effetto, la parte liberata dalla propria prestazione non potrà chiedere la controprestazione dell’altro contraente ma anzi dovrà provvedere, nel caso in cui l’abbia nel frattempo ricevuta, alla sua restituzione.

Cerchiamo di chiarire tutto ciò con alcuni esempi pratici riferiti alle figure che ruotano nel mondo dell’organizzazione dei matrimoni.

Tizia e Caio hanno firmato il contratto con il fotografo nel 2019 per il loro matrimonio che avrebbe dovuto aver luogo in data 27 marzo 2020 e per bloccare la data versano una caparra (in genere 25, 30%).

L’intervento del decreto e le misure di restrizione rendono impossibile di fatto l’evento.

Le alternative sono due:

  1. Tizia e Caio avviano una trattativa con il fotografo per rinviare l’evento, scegliendo così una data che possa soddisfare le esigenze di entrambi, trattenendo le somme già versate a titolo di acconto o caparra;
  2. Tizia e Caio decidono di annullare le nozze, non essendo pronti ad affrontare l’incertezza degli eventi durante la nuova organizzazione. In questo caso il fotografo dovrà restituire la caparra.

La restituzione delle somme già versate tuttavia può subire delle limitazioni.

Si pensi al contratto stipulato con la location, al 12 marzo 2020 gli sposi per un matrimonio previsto il 27 marzo avranno già fatto la prova menù e, pertanto, la location sarà tenuta alla restituzione dell’acconto versato trattenendo però la somma corrispondente al servizio erogato.

Per il weddign planner il discorso potrebbe mutare.

L’attività realizzata dal planner, infatti, è contrattualmente complessa e il suo lavoro si sviluppa in un arco temporale abbastanza esteso, che va da uno a due anni prima del matrimonio.

Per un matrimonio previsto il 27 marzo 2020, il 12 marzo avrà già sostenuto gran parte del lavoro necessario e pertanto al momento del verificarsi della causa impeditiva dovrà essere obbligatoriamente retribuito il lavoro già svolto e documentato.

Per quanto riguarda invece i contratti stipulati con le agenzie di viaggio la vostra luna di miele è già al sicuro!

Si segnala infatti che con specifico riferimento ai contratti di trasporto (aerei, ferroviario e marittimo), il Dpcm 2 marzo 2020 n. 9 recante “misure urgenti di sostegno per famiglie, lavoratori e imprese connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19” ha introdotto una apposita previsione all’articolo 28 che disciplina il “rimborso titoli di viaggio e pacchetti turistici”, prevedendo altresì che le procedure di rimborso possano concludersi con la restituzione del corrispettivo versato per l’acquisto del titolo di viaggio ovvero con l’emissione di un voucher di pari importo da utilizzare entro un anno dall’emissione.

Il Decreto “CuraItalia ha poi esteso le disposizioni in tema di rimborso anche ai contratti di soggiorno, ossia ai contratti conclusi con alberghi ed altre strutture ricettive.

Naturalmente è chiaro che la scelta della risoluzione del contratto comporti un bel danno per entrambe le parti, come evitarlo?

Se la parte nei confronti della quale viene domandata la risoluzione del contratto volesse evitare lo scioglimento dello stesso, potrà offrire di modificare “equamente” le condizioni, secondo una valutazione di buona fede che riequilibri il rapporto contrattuale.

La soluzione migliore, quindi, è avviare una trattativa per rinviare l’evento, trattenendo le somme, che verranno restituite solo nel caso limite in cui la trattativa non sortisca esito positivo; in questo modo non occorrerà preoccuparsi per il denaro già investito né saranno previsti costi extra.

Anche in questo caso, in assenza di rimedi specifici indicati all’interno del contratto, si ritiene sia possibile una rinegoziazione facendo ricorso ai principi generali dell’ordinamento giuridico, in particolare alla clausola generale della buona fede contrattuale disciplinata dagli articoli 1366 e 1375 c.c. e al principio di equità integrativa, articolo 1374 c.c., coordinati con l’articolo 1175 c.c. che impone il reciproco dovere di correttezza.

Ed invero, il principio di correttezza e buona fede nell’esecuzione del contratto – espressione del dovere di solidarietà fondato sull’articolo 2 della Costituzione – impone a ciascuna delle parti del rapporto obbligatorio di “agire in modo da preservare gli interessi dell’altra” e costituisce un dovere giuridico autonomo a carico delle parti contrattuali.

Naturalmente la clausola della forza maggiore presuppone il verificarsi di una circostanza imprevedibile ed inevitabile, pertanto l’attuale contesto connesso alla diffusione del virus Covid-19 potrà rilevare quale causa di forza maggiore solo con riferimento ai contratti conclusi in precedenza all’emanazione delle misure di emergenza, mentre per i contratti stipulati successivamente andranno inserite apposite pattuizioni volte a disciplinare le sopravvenienze. Molti contraenti si stanno già attivando per predisporre l’inserimento di una clausola ad hoc: la c.d. “clausola Coronavirus”.

In ogni caso, la parola d’ordine nella rinegoziazione dei contratti dovrà essere “flessibilità”, da parte di entrambe le parti, sposi e operatori del settore, per evitare di trasformare la riorganizzazione in una grande corsa ad ostacoli alla ricerca del giorno giusto, in una gara contro il tempo.